Il Professor Zino Pecoraro ricorda Pirandello

Il 10 dicembre 1936, moriva a Roma il drammaturgo e Premio Nobel per la letteratura Luigi Pirandello.
Noi vogliamo ricordarlo con un brano di Zino Pecoraro e con un disegno a china di Bruno Caruso, esposto presso la pinacoteca della Fondazione.

“Sciascia figlio e difensore di Pirandello” di Zino Pecoraro.Il legame più forte è quello che lega il figlio alla madre. Il fatto è che con la madre esiste una sorta di naturale intreccio carnale che si perpetua anche con il passare del tempo. Il rapporto col padre sottintende – più spesso – un legame di ordine culturale, relazionale, anche di emulazione: il padre – certe volte – forma più della madre, contribuisce alla delineazione del carattere, delle attitudini, di quei solchi indelebili, che rimarranno per sempre nella vita come guida continua, come viatico. La figura paterna – per questo motivo – non deve necessariamente essere quella naturale, ma può assumere una funzione metaforica: la dichiarazione di una filiale dipendenza nei confronti di un periodo storico, di un pensatore, di un artista, di uno scrittore, di un comunicatore, perfino di un libro, amato e prediletto tra tanti. In questo modo, si può comprendere la dichiarazione fatta da Leonardo Sciascia, quando nel dicembre del 1986, a cinquanta anni dalla morte di Luigi Pirandello, in occasione della commemorazione del grande drammaturgo siciliano ad opera della Regione Siciliana, disse: “Pirandello, mio padre”. Naturalmente l’epiteto aveva una funzione metaforica; Sciascia si era formato sui testi di Pirandello: ne aveva colto l’anima, l’essenza. Gli studi attenti erano sfociati poi negli scritti di valenza critica. “Sciascia coglie nella Sicilia spagnola, mafiosa anche, a Girgenti e dintorni, tra borghesi e borgesi, il sentimento pirandelliano della vita (la non risolta dialettica tra vita e forma).” (Leonardo Sciascia, Opere, a cura di Claude Ambroise, I, p. XLVIII). Poi, lo scrittore racalmutese, pur conservando la filiale dipendenza nei confronti di Pirandello, prese altre strade letterarie e di impegno politico. Questa deviazione non impedì a Leonardo Sciascia di esercitare una importante presenza nel panorama complessivo degli studi pirandelliani. Eppure, non ebbe o non volle l’onore di partecipare come relatore agli annuali convegni pirandelliani di Agrigento. Solo nel 1988, un anno prima della morte, prese la parola durante il convegno che aveva come argomento “Pirandello e D’Annunzio”. In quella occasione, Sciascia da “figlio” difese il “padre” Pirandello, accusato di avere chiesto nel 1924, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, la tessera del partito fascista. Nel salone di un noto albergo di Agrigento, dove si teneva il convegno, egli avanzò in mezzo ad una platea formata in prevalenza da studenti e da professori; era claudicante e si appoggiava ad un bastone. Come al solito aveva tra le labbra una sigaretta, si appoggiò al leggio predisposto e con la sua voce stridula e in certi momenti dai toni flebili, lesse solamente la voce “Lettere, uomini di lettere o letterati” dal “Dizionario filosofico” di Voltaire. Solo la semplice lettura – a suo modo di vedere – bastava da sola a troncare ogni disquisizione critica, qualunque preconcetto ideologico o letterario. Sembrava quasi un oltraggio a tutti i critici presenti che uno scrittore si limitasse a difenderne un altro, citando a sua volta un altro scrittore. Concluse: “Ma l’uomo di lettere non ha sostegni. E’ come i pesci volanti: se si alza un poco, gli uccelli lo divorano; se si immerge sott’acqua, lo mangiano i pesci”. (Voltaire, Dizionario filosofico, p. 296). Era la difesa di suo “padre”. E poi non consegnò per iscritto il suo intervento, che non si trova negli atti del convegno del 1988.


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